La domanda
- El Pincha Uvas

- 6 giorni fa
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 5 giorni fa
Ieri mi è capitato di poter raccontare alcune mie avventure sportive.
Non ho parlato di prestazioni, di watt, di rapporti o di minuti al chilometro.
Ho tentato di parlare di emozioni e di opportunità di crescita.
Non so se ci sono riuscito. Lo spero con tutto il cuore.
So solo che sia io che l’intervistatore, a un certo punto, avevamo entrambi gli occhi lucidi.
Cosa è successo? Qual è la domanda?
“Nei momenti difficili delle tue avventure di endurance, cosa ti spinge ad andare avanti?”
Me l’ha chiesto a bruciapelo. Non avevamo concordato nulla in anticipo.
È stato tutto bello perché naturale, perché spontaneo.
Ricordo cosa ho detto.
Ora che è passato un giorno, ho più chiara la risposta.
Mi piace pensare che non sia un “cosa” a farmi andare avanti.
Preferisco che sia sempre un “chi”.
Sono andato da Milano a Barcellona in solitaria in bicicletta.
Il “chi” erano i miei genitori, che avrei onorato visitandoli al cimitero, e i miei parenti che mi avrebbero atteso al confine. Quel momento con mia sorella, mio cognato e mio nipote è stato magico e indimenticabile.
Non ci vedevamo da due anni, maledetto Covid.
Mi hanno atteso sulla cima di una montagna per ore.
Il telefono non prendeva, ho sbagliato strada e la salita era tostissima.
Sono arrivato al buio.
Ho capito che erano lì perché ho visto delle torce muoversi.
Erano loro. Ho pianto.
In un triathlon olimpico a Sirmione volevo ritirarmi.
In quel periodo mi stavo separando e la mia forma fisica era pessima.
Il “chi” è stata una giudice che mi ha detto:
“All’arrivo devi comunque andare per ritirare la tua borsa. Vacci correndo piano, ma non ti ritirare.”
Ho concluso la gara mentre stavano smontando l’arco di arrivo.
Quella mia pessima prestazione è stata un punto miliare per affrontare tutte le successive avventure.
Non lo sapevo, ma quell'insuccesso è stato uno dei miei grandi successi.
Con Nicolò abbiamo fatto il giro dell’Irlanda in bici e tenda.
Avevamo aperto una campagna fondi per pazienti oncologici.
Il "chi" è stato lo stesso Nicolò.
Il “chi” sono state tutte le persone che avevano donato.
Il “chi” sono state tutte le persone che hanno potuto ricevere il nostro contributo.
Sono un finisher Ironman. Chi l’avrebbe mai detto? Io sono uno scarsone!
Il “chi” è stato mio papà, al quale ho parlato durante tutti gli allenamenti.
Quando ero piccolo ci capitava di guardare questa gara assurda.
Lui osservava gli atleti con ammirazione.
Mio papà non c’è più dal 2001.
Io avevo il grande desiderio che da lassù potesse guardarmi superare quel traguardo. Avevo il grande desiderio che potesse dire:
“Mio figlio è uno di loro, mio figlio è un Ironman. Ce l’hai fatta. Bravo figlio mio.”
Nella vita il “cosa” non mi interessa molto.
A me il cuore lo riempie il “chi”.
Il “cosa” è in funzione del “chi”.
Anzi, per essere precisi, il cuore me lo riempiono le azioni che compio avendo chiaro il “per chi”.
Fare qualcosa per qualcun altro (e non per te) riempie tutto di significato.
Ora stiamo preparando un Everesting in bici, ma il “cosa” non è quello.
Il “chi” sono gli amici che faranno qualche salita con noi e quelli che verrano a fare festa al nostro arrivo.
Il “chi” sono Eros e Christian, perché vivremo l’avventura insieme.
Il “per chi” sono le persone senza fissa dimora che aiuteremo con la raccolta fondi.
Il “cosa” va e viene.
Il “chi” ti dà una grande spinta.
Il “per chi” rimane per sempre.




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