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Il respiro

  • Immagine del redattore: El Pincha Uvas
    El Pincha Uvas
  • 3 nov
  • Tempo di lettura: 2 min

Qualche giorno fa siamo andati a vedere una partita di calcio con i miei ragazzi.

Lo facciamo spesso.

È una cosa che ci piace.

Tifiamo, parliamo di tattica, ci confrontiamo su quale giocatore sia più o meno forte.

Ogni weekend ne vediamo un po’.


Lo facevo anche con mio papà.

Non pensavo che la storia si sarebbe ripetuta con i miei figli.


Manca poco alla fine. La partita è concitata.

Il nostro portiere prende una ginocchiata sul fianco.

È stata un’azione brutta, fatta apposta dall’avversario.

Lui lo conosciamo benissimo. È un nostro amico.

Gli urliamo di alzarsi: serve velocizzare le azioni per cercare il pareggio.

Lo guardo. Non sta bene.

Si accascia a terra.

Poi si rialza per attendere la fine della partita.

Dopo il triplice fischio, G. si sdraia di nuovo a terra.

Fatica a respirare.

Si va tutti a fare la doccia.

G. è aiutato dai compagni a uscire dal campo.


Nella zona degli spogliatoi parte una mezza rissa: insulti, urla, spintoni e altro ancora.

Ma emerge una voce forte: «Dov’è il papà di G.?».

Lui entra correndo.

Il ragazzo non riesce a respirare.


La gente è presa dalla rissa, perché spesso, in questa vita, ci focalizziamo su ciò che non è importante, tralasciando ciò che lo è davvero.


Il papà esce a chiamare l’ambulanza.

In piazza c’è la guardia medica. Corro.

Entro: «C’è un dottore qui? Un ragazzo non respira al centro sportivo!»

È straniero, capisce sì e no.

Si muove leggero, senza fretta.

Io alzo i toni.


«Ti devi muovere! Hai capito che un ragazzo non respira? Corri! Chiudo io questo posto, dammi le chiavi!Corri!».


Mentre usciamo, vediamo G. portato in braccio dal papà e da un dirigente.

Respira, ma a fatica, ed è molto spaventato.

Purtroppo avevamo già vissuto una situazione analoga l’anno precedente.

Quella volta avevamo pensato che un ragazzo potesse morire in campo, per lo stesso motivo.

In quel caso si era talmente spaventato da andare in iperventilazione, e non riusciva più a incamerare ossigeno.

Questa volta siamo preparati.


«Tranquillo, G. Guardaci. Hai solo una botta che ti blocca un po’ il respiro. Guarda noi e segui il nostro ritmo. Non ti agitare, non sta succedendo nulla di grave.»


Lui è bravissimo. Si fida.

Il papà è eccezionale. Bravo.


Noi, che siamo lì dentro, facciamo di tutto per rilassarlo e distrarlo.

Cambiamo anche argomento apposta, e lui si calma, interagendo serenamente.

L’ambulanza arriva.

G. va in ospedale, e dopo poco sarà dimesso. Sta benissimo.


Il respiro… un gesto di cui non ci accorgiamo mai, sembra scontato.

Ma è un regalo.

Non dico che dobbiamo pensarci sempre.

Dico che dobbiamo riconoscere le cose importanti, in mezzo a questo mondo che spesso ci porta altrove.


In mezzo alla rissa, in pochi erano interessati a chiamare i soccorsi.

Era più importante urlarsi addosso, spingersi e insultarsi.

Insultarci per una partita di calcio non ci farà riconoscere il bello.

Il modo in cui il papà di G. è stato con lui — come sempre fa — è molto più importante di tutte le altre cose.


Questo mondo moderno è una grande centrifuga di maledette stronzate.

Le cose importanti stanno restando troppo in disparte.

Non permettiamoglielo.

Siamo noi a decidere.

Respira.


ree

 
 
 

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EL PINCHA UVAS

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